Con agosto che fa capolino nelle vite frizzanti degli adolescenti, il ricordo rovente degli Esami di
Stato lascia il posto alla voglia di una nuova vita, quella che attende questo autunno i tanti neodiplomati. Le paure si mescolano all’entusiasmo e riaffiorano insegnamenti degli ultimi 5 anni passati tra i banchi di scuola. Riaffiora tra tutti il ricordo del viaggio più agognato: l’incontro a
Roma con Papa Francesco.
«Sei bella come un dubbio spento
Come un rifugio per un ladro
Sei bella come l’Angelo e il peccato»
Cara Roma, è così che ti descrive un tuo fedele cantautore in una dolce poesia interamente dedicata a te: Ultimo. Egli, un cantante che ascolto dal primo giorno, ha da sempre dimostrato un forte legame con la tua storia e la tua bellezza che io, sinceramente, non riuscivo mai a capire. Come poteva una città, per quanto bella fosse, arrivare a farne sentire la mancanza, abituata come sono a questo paesino in cui la massima maestosità la si può trovare guardando in lontananza l’Etna, a questo paesino da cui spesso viene un po’ la voglia di scappare per andare alla scoperta di qualcosa di più lontano? Adesso però devo ammettere che mi è bastato davvero poco: tre giorni, i principali monumenti che offri, qualche via meno conosciuta ma più vissuta, un paio di amici e molte risate per innamorarmene e ritrovarmi in totale accordo con il tuo cantautore affezionato. Roma mi hai aperto il cuore e ti sei creata il tuo piccolo spazio dentro di esso in silenzio, in punta di piedi, con la forte delicatezza che ti contraddistingue. Io sono una ragazza di provincia che ha sempre avuto sotto agli occhi un paese, Bronte, con umili realtà; mi è sempre bastato rifugiarmi nella libertà che si respira al Piano dei Grilli, o nella semplice eleganza della Chiesa Madre per considerare il mio paese ricco di emozioni e di doni da poter offrire a chi avesse la voglia di scoprirli e ho sempre guardato te, cara Roma, come qualcosa di lontano, di quasi impossibile da raggiungere e con un po’ di scetticismo come se fossi un’illusione di chi è costretto a viverti ogni giorno. Poi però la scuola mi ha presentato l’opportunità di poterti “toccare con mano”, di poter poggiare su di te i miei giovani occhi sognatori che avevano paura di aspettarsi troppo e restare delusi. Il 18 aprile sono così partita con la valigia piena di curiosità, di aspettative, di speranza; talmente piena che non c’era nemmeno posto per i vestiti. Tu eri e sei stata il mio “riscatto”, tu hai rappresentato così tanto per me che forse nemmeno puoi immaginarlo. Sai, la scuola è da sempre la mia seconda casa, mi ha accolto a braccia aperte e ha saputo dare valore ad ogni lato del mio carattere, della mia personalità. Tra quelle mura ho ricevuto più regali di quanti avrei mai potuto chiederne, fra amicizie, rapporti speciali, docenti che mi hanno fatto da genitori e da migliori amici allo stesso tempo, insegnamenti che mi hanno resa ciò che sono oggi e ricordi che porterò sempre dentro di me come segni indelebili, come tatuaggi dell’anima. E, proprio come ti raccontavo in quei giorni sopra le numerose metro che mi hanno accompagnata, fare i conti con questa realtà appena elencata non è stato facile. Avevo paura di non riuscire a godermi gli ultimi mesi da studentessa del “Benedetto Radice”. Io che ho sempre dato tutta me stessa a questa scuola nonostante non avessi mai potuto partecipare a una delle sue magnifiche uscite che durassero più di una giornata, io che la amo così tanto da averci passato la maggior parte del tempo, da trascorre in quell’istituto più pomeriggi di quelli che trascorrevo a casa; avevo e ho paura di non averlo fatto abbastanza. Continuavo a cercare la degna chiusura di un percorso alquanto emozionante ma non riuscivo a trovarla finché… finché non sei arrivata tu. Tu che con i tuoi troppo brevi tre giorni hai aggiunto così tanto al bagaglio di questi cinque anni senza prendere niente in cambio, sei stata soltanto un valore aggiunto e sicuramente uno dei più belli e significati che mi sia mai stato donato. Sei stata la mia prima e ultima gita in cui ho dormito fuori casa, sei stata una perfetta miscela di felicità, trepidazione, stupore e angoscia. Angoscia perché ogni momento che passava mi avvicinava sempre di più alla fine, alla fine della nostra prima conoscenza, alla fine della mia prima e ultima uscita e alla fine di un percorso lungo cinque anni; stupore nel guardare la tua maestosità che custodisci con cura e, immagino, un pizzico di gelosia; trepidazione perché non vedevo l’ora di scoprire cos’altro potevi offrirmi, cosa non avevo ancora scovato e aspettava solo me ma in fondo, come disse Leopardi, «L’attesa del piacere è essa stessa il piacere»; felicità perché essa è sicuramente l’emozione che ho provato di più in questo viaggio, complici anche le fantastiche persone che avevo al mio fianco. A causa di tutto questo quella valigia era tanto stracolma di emozioni e aspettative ma tu, devo riconoscertelo, non ne hai delusa nemmeno una, anzi forse alcune le hai addirittura superate.
Hai superato te stessa con la suggestione che ho provato nel ritrovarmi nel mezzo di Piazza San Pietro con quelle imponenti braccia che sembravano non lasciarmi uscire, ti assicuro che a confronto io mi sentivo una formica, in quel momento ho compreso davvero il tanto citato «sentirsi piccoli di fronte all’universo» e in quel caso l’universo eri proprio tu. Hai superato te stessa quando, da lontano, tra un lampione e un albero, iniziavo a scorgere qualche pezzetto scomposto del Colosseo, di questa meraviglia mondiale che riempie gli occhi di milioni di turisti ogni anno. Non so se ti rendi conto di ciò che possiedi, cara Roma, mi auguro di sì ma in ogni caso ti assicuro che il tuo Colosseo ha colmato ogni pezzo mancante di me con la sua regalità, con la sua bellezza e con la sua arte. Il Colosseo è sempre stato, nella mia mente, uno dei luoghi più belli del mondo e ho sempre ritenuto tutti noi italiani fortunati ad averlo proprio qui, nella nostra capitale, perché ci dà una ricchezza culturale ed emotiva che molti altri popoli possono solo sognare. Ti assicuro, cara Roma, che i miei occhi sono diventati lucidi quanto l’acqua di Fontana di Trevi alla sua vista che più mi avvicinavo più diventava indimenticabile, una polaroid impressa in mente. Una visione che può solo farti scoppiare il cuore di emozioni, di amore… amore verso la verità che si cela dietro quelle mura che tra guerre, incendi e terremoti, sono ancora lì, forti se pur semidistrutte, eterne come la storia che le caratterizza. Charles Dickens disse: «Il Colosseo di giorno, al chiaro di luna, a lume di torcia e con ogni sorta di luce è quanto di più stupendo e terribile». In fondo non a caso vieni spesso citata in questo modo: “Roma Caput Mundi”. Ti sei superata con la vista che dona l’Altare della Patria ma anche con le caratteristiche vie nascoste dai fari dello splendore ma che, più di tutto, ti rendono diversa, unica, umana. Un giorno ho letto una frase che parlava di te e che recitava così: «Perché Roma è casa dappertutto. È lei che ti sceglie e non puoi dirle di no» e credo che ti descriva perfettamente, forse anche meglio di quanto io abbia fatto finora. Cara Roma, tu sei la città eterna, la città per eccellenza. Sei l’orgoglio di 59 milioni di italiani che ritrovano in te la forza e la voglia di andare avanti e di affrontare ciò che la vita ha in serbo per ognuno di loro.
Roma, tu mi hai anche permesso di incontrare il Papa che tutti noi guida con coraggio e determinazione. Il dolce Papa Francesco ha gettato ulteriore benzina a quel fuoco di speranza che arde in me e spero in ognuno di noi perché il futuro e la vita possono sempre essere cambiati, perché non è mai troppo tardi e il Pontefice ci ha ricordato proprio questo; ci ha ricordato di essere gli artefici del nostro futuro e di non accontentarci mai, e lo ha ribadito in un incontro in cui erano molti i messaggi che ci siamo portati a casa per custodirli, farli nostri e magari riuscire anche a metterli in pratica. Un incontro che ha risvegliato la fede, spesso assopita, di moltissimi cattolici, un incontro che ha fatto risentire il senso civico di ognuno di noi, incluso il mio, un incontro che parlava di pace, di cura verso il prossimo e verso sé stessi, di rispetto verso questo mondo che ci ospita. Un incontro che toccava molti, se non tutti, i goal dell’agenda 2030. E anche questo è merito tuo, cara Roma. Tu sei la città dell’amore, la città in cui il sole non tramonta mai e se dovessero chiedermi dove voglio essere portata non avrei dubbi nel dire, ancora una volta, il tuo nome. Direi che voglio essere portata a vedere il Colosseo, di nuovo. Perché ogni volta è come la prima e mi incanto come una bambina dinnanzi a certi spettacoli. Oppure in piazza di Spagna, passando per le viuzze strette strette con i tavolini per due dei ristoranti che impediscono ancor di più il passaggio, ma che mi fanno impazzire. Direi che voglio essere portata alla fontana di Trevi per ascoltare il rumore dell’acqua che scorre, le monete che fiondano al suo interno e i turisti impazziti che gridano di gioia. O ancora in piazza Navona per ammirare la vastità delle particolarità che la riempie. Direi di portarmi da te Roma, per passeggiare tra i battiti accesi di paesaggi suggestivi che mai dimenticherò.
Cara Roma, ti scrivo questa lettera per ringraziarti per tutto che sei per il mondo e per me, per ringraziarti per tutto quello che hai significato nel mio percorso, per ciò che mi hai donato, per le risate che mi hai permesso di fare con i miei compagni, per i ricordi che mi hai permesso di costruire. Ti scrivo questa lettera nella speranza di non dimenticarti mai, nella speranza di ritrovarti presto con la stessa delicata imponenza con cui ti ho lasciata. Spero che sarai sempre pronta ad accogliermi e spero che, nonostante io non sia una scrittrice, una musicista o una poetessa, nonostante io non abbia in me l’arte che invece scorre in te, queste sincere e pure parole che ti ho rivolto possano essere percepite con il cuore e con lo stesso amore che ho sentito io mentre ti scrivevo. Grazie di tutto cara Roma. Voglio salutarti citando nuovamente il cantante Ultimo:
«Domani torno e prima cosa vado a pija du guanti
Perché per scrivere de te ce vò rispetto
Grazie per esse rimasta accesa quando non c’avevo un letto»
Personale scolastico
Docente