«Non è cosa nostra»: la consulta giovanile di Catania contro la criminalità organizzata

Melania Spedaletti e Lorena Papotto

All’evento tenutosi sabato scorso presso Le Ciminiere di Catania ha preso parte anche l’Istituto “Benedetto Radice” di Bronte per approfondire il fenomeno della mafia e trovare
delle possibili soluzioni per cercare di sradicarlo

Melania Spedaletti e Lorena Papotto

«La Sicilia è una terra bellissima: c’è il sole, il mare… Ma è anche la terra della mafia». È così che Francesco Pezzillo, presidente della Consulta giovanile provinciale, ha aperto
l’incontro contro la criminalità organizzata avvenuto il 17 febbraio alle Ciminiere di Catania.
Questa conferenza è stata preceduta dal concorso “CPS GRAPHIC CONTEST” alla quale ha partecipato uno studente dell’Istituto “Benedetto Radice” di Bronte, Cristian Cirami, che con
orgoglio è riuscito a vincerlo. Benché permanga la consapevolezza che la mafia esiste e opera, seppur attraverso canali e strategie diversi rispetto al passato, l’evento ha avuto il titolo “Non è cosa nostra”, per estirpare dall’immaginario collettivo lo stereotipo del siciliano con la mentalità mafiosa. Se è cosa di qualcuno, non è cosa di ognuno. Diventa, invece, cosa di tutti. Diventa cosa di tutti perché tutti siamo chiamati in quanto cittadini a denunciare, tutti siamo chiamati a porci delle domande, tutti siamo chiamati a responsabilizzare noi e gli altri verso la legalità a partire dalle più piccole azioni quotidiane. Un impegno questo che chiama in causa i giovani in quanto portatori di speranza per il futuro. Come ha spiegato il sindaco di Catania Enrico Trantino intervenuto all’incontro, il potere diventa mafioso nel momento in cui viene sfruttato per scopi personali. Da questo punto di vista, quante volte possiamo dire di essere
stati noi tutti mafiosi? L’ospite ha poi consigliato ai giovani presenti: «Siate protagonisti di quel percorso che vi porta a riconoscere coloro che usano il potere per il bene collettivo».
Ma cos’è la mafia? Questa parola è intrisa di sofferenza, ha cambiato e cambierà ancora la vita a molte persone, sia di chi la combatte sia di chi quotidianamente la vive. A partire dal
feudalesimo arriva fino ai giorni nostri, espandendosi fino allo Stato. È una corruzione che denigra il mondo. Proprio come ha voluto sottolineare Emilio Grasso, dirigente dell’Ufficio
Scolastico Regionale, intervenuto anche lui al dibattito: «Meno c’è lo Stato, più vi è la mafia». A supporto di questo fenomeno concorrono purtroppo la mancanza di quegli ideali
che rendono una società civile e la tendenza a seguire disvalori, complici i social. Quando pensiamo alla mafia ci viene subito in mente la lotta che viene combattuta contro di
essa, e che ha avuto il suo massimo picco con la strage di Capaci: questa tragedia ci permise di aprire gli occhi. Infatti, Massimo Russo, Magistrato alla Procura presso il Tribunale dei
Minori di Palermo, ha dichiarato, prendendo la parola: «In fondo la mafia ci piace perché, quando è nata, non ce ne siamo nemmeno occupati, ci faceva comodo. È solo con quegli eroi
che abbiamo capito la cruda realtà dei fatti: la mafia è un cancro che si espande». La metafora con la malattia cancerogena descrive perfettamente il fenomeno mafioso in quanto la prima si sviluppa all’interno del nostro organismo ad una velocità esponenziale, mentre la seconda opera indisturbata all’interno della nostra società; e ce ne siamo resi conto solo quando aveva
già infestato il nostro sistema. La speranza però non si perde mai. Infatti, Maria Carmela Librizzi, Prefetto di Catania, ha promosso un impegno collettivo a partire dal Comune di Catania e dalle associazioni che daranno, attraverso la creazione di una rete di solidarietà, il loro aiuto alle famiglie e ai ragazzi che lo necessitano al fine di creare una società attiva. Si liberano così dalla gabbia d’acciaio in cui sono costretti a vivere e dove l’unica aspirazione che può avere un adolescente è quella di iniziare a spacciare a 10 anni.
La forza dell’argomento è intuibile dal silenzio che è regnato in sala, dall’attenzione che si è respirata nell’aria e dal rispetto che si è percepito nei confronti di tutti coloro che vivono
nell’ansia che possa accadere una tragedia. Infatti, Mario Barresi, inviato del giornale “La Sicilia”, ha detto: «Uscire e tornare a casa senza che sia successo qualcosa di brutto è una
vittoria». È questo l'obiettivo che tutti i presenti aspirano a raggiungere: rendere questa vittoria la normalità. Per farlo dobbiamo imparare a distinguere le scelte giuste da quelle
sbagliate, e in questo ci è utile l’istruzione. Non dobbiamo mai perdere di vista i due valori che hanno il compito di guidare la nostra vita:
verità e giustizia. Soltanto questi possono sottrarre potere alla criminalità dandolo a noi. «La mafia non deve più controllare la nostra vita, dobbiamo impedirle di distruggerla», ha
commentato Francesco Pandolfo, presidente della Commissione Antimafia della Consulta, ed è così che ha spinto i presenti a riflettere e ad interrogarsi su come poter contribuire a questa
infinita lotta. Perché la mafia non è cosa nostra!