Studentesse e studenti si confrontano sul tema della legalità a partire da due testimonianze preziose, in prima fila contro la mafia per diffondere le buone prassi del vivere collettivo
«Ogni volta che l’Etna erutta ci preoccupiamo di dove possa finire la lava ricordandoci che quella montagna che ci sovrasta è un vulcano. Ma quando non c’è alcuna eruzione, nessuno si preoccupa, dimentichiamo la sua esistenza anche se in realtà non è scomparsa e non è diventata un vulcano spento. Con la mafia è la stessa cosa: anche se non ci sono guerre e omicidi, è sempre presente». Così il magistrato Marisa Acagnino, originaria di Catania, è intervenuta nel nostro istituto, il “Benedetto Radice” di Bronte, in occasione di un evento sulla legalità tenutosi il mese scorso. L’ospite, accolta a braccia aperte dagli studenti, è da anni in prima linea nella lotta contro la mafia e le disuguaglianze di genere. Presente all’incontro anche Rosario Barchitta, imprenditore siciliano vittima della criminalità organizzata che ha avuto un ammirevole e raro coraggio: quello di denunciare. Due voci autorevoli quindi che hanno offerto alla comunità scolastica uno spunto concreto per riflettere su come migliorare la realtà in cui viviamo e fare la differenza.
COME L’ETNA. La similitudine adoperata dal magistrato che accosta la presenza della mafia nella nostra società all’Etna – vulcano al quale ogni paesino nelle vicinanze, incluso Bronte, porta attenzione – è particolarmente calzante. La stessa Acagnino racconta che negli Anni ’90, quando ricopriva la carica di pubblico ministero, dovette fronteggiare la terrificante statistica di almeno un omicidio ogni tre giorni. Il dato sconcertante è che la mafia non è solo quella che uccide d’estate, quella dei gesti estremi ma è anche (e soprattutto) quella della corruzione, quella del pizzo, quella dell’omertà silenziosa. La criminalità organizzata si è sempre infiltrata nella società anche laddove non sembra. Molti sono i Comuni che hanno subito le conseguenze di questa “dimenticanza” o sottovalutazione dei fenomeni mafiosi: viene portato l’esempio dello scioglimento del comune di Maniace, paesino della provincia di Catania, che per anni è stato indagato per infiltrazione mafiosa nelle istituzioni pubbliche.
«IO NON CI STO PIÙ». Aggiunta preziosa all’incontro è il racconto dell’imprenditore Rosario Barchitta, che testimonia la sua esperienza con la malavita: risale agli Anni ‘80, quando gli viene imposto di pagare il pizzo per il negozio di abbigliamento che possedeva presso la sua città d’origine, Scordia. Il pizzo è un meccanismo mafioso che la gran parte dei negozianti subisce senza mai trovare il modo di sconfiggere la paura. Eppure, Barchitta è riuscito a scrollarsela di dosso. Egli rientra tra i pochi che hanno trovato la forza di denunciare: «Avevo paura e non sapevo che fare, però avevo bisogno di denunciare», queste sono le parole di chi, nonostante la difficoltà della situazione, riesce a stare nella giusta via senza accettare sottomissioni. Rosario inizialmente cercò di procurarsi aiuto dai mafiosi stessi provando a parlarci senza ottenere risultati, anzi pochi giorni dopo trovò un suo trattore in fiamme. Fu questo che gli fece dire «Io non ci sto più». Il processo che ne conseguì portò alla condanna di sette uomini per organizzazione mafiosa. «Gli uomini d’onore siamo noi – è la riflessione che ci porta Rosario – i nostri genitori, noi, e tutte quelle persone che ogni mattina si alzano e vivono la loro vita onestamente. Smettiamola di chiamare quegli esseri “uomini d’onore”». Così da anni l’imprenditore Barchitta incontra i giovani portando loro la sua testimonianza, senza più timore, anzi armato di un bagaglio che questa esperienza gli ha lasciato, ricordando che, in un mondo di violenza e paura, le uniche chiavi per noi giovani e per l’intera società, sono la ragione e il coraggio.
UN’ALTERNATIVA È POSSIBILE. Com’è possibile che ancora oggi parole come pizzo e corruzione suonino attuali? Proprio dall’uso sapiente della ragione e dal coraggio occorre ripartire per abbandonare l’abito abituale della società corrotta che favorisce il più forte, o si preferisce estraniare dalla situazione, arrendendosi a questo stile di vita, ad esempio non votando. Durante l’incontro viene, infatti, marcata l’importanza del voto inteso proprio come mezzo per poter scegliere il nostro futuro, un futuro del quale solo noi dobbiamo e possiamo esserne padroni. Proprio a questo scopo nasce il progetto “Liberi di scegliere” in cui, la prefettura di Catania e non solo, offre un’alternativa a quei giovani appartenenti a famiglie mafiose che difficilmente riescono a prendere le distanze dalla tradizione familiare. Perché un’alternativa è possibile, sempre.
Personale scolastico
Docente